Tu sei qui: Storia e StorieL'ultima barca a lasciare lo specchio d'acqua di Positano, l'amore per il mare è una storia di libertà
Inserito da (admin), giovedì 14 novembre 2019 22:06:31
Una storia avvincente e coinvolgente, una carica di adrenalina in un post che si lascia leggere tutto in un fiato.
I fatti risalgono a qualche giorno fa, ma solo oggi, tramite il suo profilo social, Paolo Esposito ha raccontato la non semplice impresa di tirare a secco il suo gozzo.
Di seguito vi proponiamo il suo post integralmente, un gesto d'amore con un pizzico di incoscienza che solo chi ama il mare può comprendere:
"Sabato, come sempre, ero a Positano, sulla spiaggia. La finisce ogni ansia e il cuore trova pace. Il mio gozzo, l'ultimo rimasto ormeggiato alla boa, era diventato il simbolo di chi lotta per non finire. Tutte le altre imbarcazioni si erano già da tempo disciplinatamente ritirate sulla terraferma, una condizione innaturale per una barca. Il libero 54 voleva rimanere a mare. La comunità positanese lo ha capito ed ha fatto il tifo per lui ad ogni onda che per almeno dieci giorni lo ha fatto andare su e giù in un moto perpetuo. Ma martedì era previsto un mare che sarebbe stato insopportabile anche per quel vecchio legno. Ogni marinaio ha sentito la necessità di esortarmi a portare il libero 54 in salvo. Ma il mare anche domenica ha continuato ad essere molto mosso. Era rimasto solo lunedì. Vado in spiaggia e decido di tentare. Il gozzo maschio non può morire si porterebbe con sé un pezzo della mia libertà. Provo a mettere in acqua una canoa per raggiungerlo, poi una tavola da surf, niente da fare, l'onda continua travolge me ed ogni altra cosa. Allora in trance vado verso il mare solo con la mia nemmeno piccola massa di carne e nervi e nuoto verso il centro della baia, centellinando lo sforzo, 7/8 bracciate poi pausa per guardarsi intorno e capire cosa fare. Ormai sono a metà, non è più possibile fermarsi, bisogna andare avanti, come nella vita nessuno mi può aiutare. 20 minuti sono passati in quest'acqua di novembre ma sono arrivato. Ora occorre salirci sopra. C'è la cima del l'ancora, ne lego un capo ad una bitta di poppa, mi tiro su con quella. Sono a bordo. Ma adesso deve partire. Smanetto i cavi delle batterie, niente. Chi mi viene a prendere in mezzo a questo mare? Ma il vecchio indomito leone improvvisamente fa sentire il suo ruggito. Il motore è partito. Occorre collegare il timone, un legno di 20 kg che nell'andare su e giù della barca deve essere infilato in due ganci parimenti. Perdo sangue da una gamba screstata durante la salita, divento tutt'uno con la barra la collego dopo tre tentativi. Sciolgo l'ormeggio, prendo il mare, vedo il livello del carburante, forse basta per arrivare ad Amalfi. Vado verso quel porto. Ma il vento soffia proprio da est, da levante. Lo prendo tutto in faccia frammisto agli schizzi di sale dell'acqua del mare. Un tiepido sole lenisce ogni tanto le mie sofferenze. Il libero 54 naviga sicuro in mezzo alle onde particolarmente virulente all'altezza del capo di Praiano. Ma si va avanti nel modo che chi va a mare sulla vetroresina per risparmiare i costi della manutenzione del legno non può capire. Entro ad Amalfi. Il mio amico Paolo mi ha seguito la. Gli lascio il gozzo nell'attesa della gru che lo strapperà al mare. Metto i piedi sulla banchina. Gli uomini del porto mi si fanno intorno per il racconto di quello che è successo. Mi sento un dio greco. Non mi serve altro."
Foto: Giuseppe Cinque
Testo: Paolo Esposito
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