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Cronaca

Strage dell’Acqualonga, svolta definitiva dopo dodici anni

Condannato a 6 anni l’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci: dovrà andare in carcere

La Cassazione conferma la pena per l’ex numero uno di Aspi per la tragedia del 28 luglio 2013 in cui morirono 40 persone. Rigettato l'appello bis: “È pronto a costituirsi”, dicono i legali. Condanne definitive anche per altri dirigenti

Inserito da (Admin), sabato 12 aprile 2025 14:05:47

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È definitiva la condanna a sei anni di reclusione per Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, per la strage del 28 luglio 2013 sul viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, dove persero la vita 40 persone. La Corte di Cassazione ha messo la parola fine a un processo durato oltre un decennio, confermando quanto stabilito in appello nel settembre 2023 e aprendo le porte del carcere per l'ex manager.

"È pronto a costituirsi, attendiamo l’ordine di carcerazione", hanno dichiarato i suoi difensori, Filippo Dinacci e Paola Severino, che giudicano la decisione "incomprensibile", ribadendo la totale estraneità del loro assistito ai fatti e sostenendo che Castellucci ha sempre svolto "accuratamente i propri doveri".

I giudici della quarta sezione penale della Suprema Corte, dopo oltre quattro ore di camera di consiglio, hanno respinto le richieste della Procura Generale che proponeva un appello bis per rivedere l’imputazione di omicidio colposo e un'assoluzione per il disastro colposo. Di fatto, le condanne sono divenute esecutive anche per altri dirigenti e dipendenti di Aspi, tra cui Riccardo Mollo (6 anni), Massimo Giulio Fornaci (6 anni), Marco Perna (6 anni), Nicola Spadavecchia e Paolo Berti (5 anni), Gianluca De Franceschi, Gianni Marrone e Bruno Gerardi (3 anni).

Nove anni invece per Gennaro Lametta, proprietario del bus precipitato, mentre ad Antonietta Ceriola, all’epoca funzionaria della Motorizzazione civile di Napoli, sono stati inflitti 4 anni per aver avallato con un certificato falso la revisione del mezzo, che non veniva effettuata dal 2011.

Il bus, in pessime condizioni meccaniche e con oltre un milione di chilometri alle spalle, aveva perso in corsa il giunto cardanico, elemento essenziale per il funzionamento dei freni. Dopo un tragitto di oltre un chilometro a velocità incontrollata, l'autista - Ciro Lametta, fratello del proprietario – tentò di arrestare la corsa accostandosi alle barriere del viadotto. Le protezioni, tuttavia, cedettero, facendo precipitare il pullman da 40 metri. Trentotto passeggeri morirono sul colpo, due nei giorni successivi. I superstiti furono solo dieci.

Secondo la requisitoria della pubblica accusa, quella strage fu frutto di una lunga serie di omissioni, incuria e mancate verifiche, a partire dal controllo sui tirafondi delle barriere laterali del viadotto fino alla responsabilità del gestore dell’infrastruttura, accusato di non aver adeguato i dispositivi di sicurezza in tratti critici della rete autostradale. "Se le barriere fossero state a norma – hanno sempre sostenuto gli inquirenti – il bus non sarebbe precipitato".

Il processo, uno dei più complessi nella recente storia giudiziaria italiana, ha coinvolto complessivamente 15 imputati, tra cui 12 dirigenti ed ex dirigenti di Aspi. La sentenza di oggi segna la chiusura definitiva di una ferita ancora aperta per le famiglie delle vittime e una pietra miliare nella responsabilità penale dei vertici delle grandi società concessionarie di infrastrutture pubbliche.

Fonte: ANSA.IT

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